Matteo Malanca
English text below
(44 anni, Milano, impiegato)
Màrtis (μαρτις), Braccialetto apotropaico in fili di cotone rosso e bianco intrecciati, decorati da perlina-occhio portafortuna (matàki) – Grecia, Marzo 2020
Legàmi di quarantena
Il primo giorno di marzo io e i miei familiari abbiamo indossato un màrtis, un braccialetto apotropaico legato a un’antica tradizione comune a un po’ tutto il mondo balcanico con nomi e sfumature differenti, ma riconducibili a una pratica popolare risalente al patrimonio culturale latino. Nella sua accezione più moderna il màrtis è un talismano che dovrebbe proteggere dai primi infidi raggi solari di Primavera. E’ un braccialetto costruito intrecciando un filo bianco e uno rosso, corredati di una piccola decorazione benaugurante, che nel tempo ha perso gran parte della propria carica culturale, per diventare una semplice abitudine destinata ai bambini. Quest’anno i nostri màrtis sono giunti direttamente dalla Grecia a febbraio, portati da una zia in visita. Quasi per gioco, dunque, ho deciso di indossarlo anch’io. La tradizione vuole che alla fine del mese di marzo il braccialetto sia abbandonato in natura, perché sia raccolto da un uccello migratore, affinchè lo trasformi poi in una parte del proprio nuovo nido. Con lo scoppio dell’emergenza da Covid-19 e l’imposizione della quarantena, involontariamente questo braccialetto è diventato un compagno di viaggio, che avrei dovuto già salutare da tempo, ma al quale la segregazione domestica mi ha legato forzatamente. E’ diventato parte di me, incorporando un appuntamento con la Vita, ancor prima che con la bella stagione. Si era caricato di un valore affettivo e simbolico. Ogni volta che lavavo le mani, scrivevo al computer, leggevo un libro, disbrigavo qualche faccenda domestica, la sua presenza fissa sotto i miei occhi mi rammentava la condizione di recluso in cui versavo da settimane. Più di un braccialetto decorativo, più che un talismano, quell’oggetto era diventato un simbolo di costrizione.
La quarantena ha, per così dire, fermato il mio tempo, mi ha portato in una dimensione angustiante, ma, al contempo, all’angoscia si è associato il piacere, perché la reclusione cui sono stato sottoposto di necessità è stata protettiva e rassicurante. Da questa condizione mentale si rischia di non uscire più: gli psicologi la chiamano “sindrome della capanna”, poiché il ritorno ai ritmi ansiogeni della “vita normale” genera sulle nostre esistenze un senso di oppressione, che tendiamo a mal sopportare o a rifuggire. Quindi, finiamo col preferire la prigionia, il distanziamento allo stress lavorativo, agli obblighi sociali, alla routine. La pandemia ha riportato momentaneamente il mondo in un ordine “naturale”: l’uomo, da virus del pianeta, è ritornato a essere vittima dei virus; è tornato a rinchiudersi nella propria caverna per difendersi dalle minacce esterne; l’uomo è stato così costretto a riflettere. La quarantena ha insegnato questo, a chi ha saputo ascoltarla: occorre riappropriarsi della propria vita, della propria posizione nel mondo, nel senso più pieno dell’espressione, liberandosi degli orpelli, di ciò che non è propriamente fondamentale.
Proprio per non tradire tale insegnamento, occorreva liberarsi di quel segno di costrizione, porre fine all’attesa, riattivare l’azione. Così oggi, 8 maggio, ho abbandonato il mio màrtis in piena natura, in un parco vicino casa che non visitavo da quasi quindici anni.
Il primo passo per il rinnovamento.
(44 years old, Milan, employee)
Màrtis (μαρτις), Apotropaic bracelet in intertwined red and white cotton threads, decorated with a lucky-eye bead (matàki) – Greece, March 2020
Quarantine ties
On the first day of March, my family and I wore a màrtis, an apotropaic bracelet related to an ancient tradition common in the whole Balkan region under different names and expressions, but attributable to a popular practice dating back to the Latin cultural heritage. In its most modern sense, the màrtis is a talisman that should protect against the first treacherous spring sunlight. It is a bracelet made by twining together a white and a red thread, accompanied by a small auspicious decoration, which over time has lost much of its cultural charge, to become a simple custom for children. This year our màrtis arrived directly from Greece in February, brought to us by an aunt who was visiting. So, almost as a joke, I decided to wear it, too. Tradition has it that at the end of March the bracelet should be abandoned in nature, because it is then collected by a migratory bird to be transformed into a part of its new nest. With the outbreak of Covid-19 and the imposed quarantine, this bracelet has unintentionally become a travel companion, whom I should have already said goodbye to some time ago, but to which home self-isolation has forced me. It became part of me, incorporating an appointment with Life, even before the summer. He was charged with emotional and symbolic value. Every time I washed my hands, typed on my computer, read a book, did some household chores, its constant presence before my eyes reminded me of the condition of enclosure I had been forced to for weeks. More than a decorative bracelet, more than a talisman, that object had become a symbol of constraint.
Quarantine, so to speak, stopped my time, took me to a distressing dimension, but at the same time pleasure became associated with anxiety, because the imprisonment to which I was subjected by necessity was protective and reassuring. There is the risk of never going out of this mental condition ever again: psychologists call it “cabin fever”, since the return to the anxiety-inducing rhythms of “normal life” generates a sense of oppression on our lives, which we tend to resent or shun. So, we end up preferring imprisonment, taking our distance from work-related stress, social obligations, routine. The pandemic momentarily brought the world back into a “natural” order: humankind, which in a way can be seen as virus for the planet, returned to being the victims of viruses; we have returned to shutting ourselves up in our own cave to defend ourselves from external threats; we were thus forced to reflect. Quarantine taught this to those who knew how to listen to it: it is necessary to regain possession of one’s life, one’s place in the world, in the fullest sense of the word, to get rid of the trappings, of what is not really fundamental.
In order not to betray this lesson, it became necessary for me to get rid of that sign of constraint, put an end to the wait, start the action. So today, May 8th, I abandoned my màrtis in nature, in a park near the house that I hadn’t visited for nearly fifteen years.
The first step in the process of renewal.